Dal qual tempo in poi si vennero a distinguere «patrizio» da «senatore» e da «cavaliere», e «plebeo» da «ignobile»; e «plebeo» non più s'oppose a «patrizio», ma a «cavaliere» e «senatore»; né «plebeo» significò «ignobile», ma «cittadino di picciolo patrimonio», quantunque nobile egli si fusse; ed al contrario «senatore» non più significò «patrizio», ma «cittadino d'amplissimo patrimonio», quantunque si fusse ignobile.
Per tutto ciò indi in poi si dissero «comitia centuriata» le ragunanze nelle quali per tutte e tre le classi conveniva tutto il popolo romano, per comandare, tra l'altre pubbliche faccende, le leggi consolari; e ne restarono dette «comitia tributa» quelle dove la plebe sola comandava le leggi tribunizie, che furon i plebisciti, innanzi detti in sentimento nel quale Cicerone gli direbbe «plebi nota», cioè «leggi pubblicate alla plebe» (una delle quali era stata quella di Giunio Bruto, che narra Pomponio, con cui Bruto pubblicò alla plebe gli re eternalmente discacciati da Roma); siccome nelle monarchie s'arebbon a dire «populo nota», con somigliante propietà, le leggi reali. Di che, quanto poco erudito tanto assai acuto, Baldo si maraviglia esserci stata lasciata scritta la voce «plebiscitum» con una «s», perché, nel sentimento di «legge ch'aveva comandato la plebe», dovrebbe essere stato scritto con due: «plebisscitum», venendo egli da «sciscor» e non da «scio».
Finalmente, per la certezza delle divine cerimonie, restaron dette «comitia curiata» le ragunanze de' soli capi delle curie, ove si trattava di cose sagre.
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Cicerone Giunio Bruto Pomponio Bruto Roma Baldo
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