Talché il luogo appresso Cicerone significa che, nel giorno stabilito, «venga il nobile col plebeo a vendicargli il podere», come anco si è sopra detto. Perciò l'«eterna autorità», che si dice dalla medesima legge, dev'essere stata contro i plebei, contro i quali ci disse Aristotile nelle Degnità che gli eroi giuravano esser eterni nimici; per lo quale diritto eroico i plebei, con quantunque corso di tempo, non potevan usucapere niuno fondo romano, perché tali fondi erano nel commerzio de' soli nobili; ch'è buona parte della ragione perché la legge delle XII Tavole non riconobbe nude possessioni: onde poi, incominciando a disusarsi il diritto eroico e invigorendo l'umano, i pretori assistevan essi alle nude possessioni fuori d'ordine, perché né apertamente né per alcuna interpetrazione aveano da essa legge alcun motivo di costituirne giudizi ordinari né diretti né utili; e tutto ciò, perché la medesima legge teneva le nude possessioni de' plebei esser tutte precarie de' nobili. Altronde non s'impacciava delle furtive o violente de' nobili medesimi, per quell'altra propietà delle prime repubbliche (che lo stesso Aristotile nelle Degnità pur ci disse), che non avevano leggi d'intorno a' privati torti ed offese, delle quali essi privati la si dovevano vedere con la forza dell'armi, com'appieno dimostreremo nel libro IV; dalla qual vera forza restò poi per solennità nelle revindicazioni quella forza finta ch'Aulo Gellio dice «di paglia». Si conferma tutto ciò con l'interdetto «Unde vi», che si dava dal pretore, e fuori d'ordine, perché la legge delle XII Tavole non aveva inteso nulla, nonché parlato, delle violenze private; e con l'azioni «De vi bonorum raptorum» e «Quod metus caussa», le quali vennero tardi e furon anco pretorie.
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