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      È molto da avvertirsi che si patteggia la legge della vittoria sulla fortuna dell'abbattimento di essi, che principalmente erano interessati; qual, dell'albana, fu quello degli tre Orazi e degli tre Curiazi, e, della troiana, quello di Paride e Menelao, ch'essendo rimasto indiciso, i greci e troiani poi seguitarono a terminarla: siccome, a' tempi barbari ultimi, similmente essi principi con gli abbattimenti delle loro persone terminavano le loro controversie de' regni, alla fortuna de' quali si assoggettivano i popoli. Ed ecco che Alba fu la Troia latina, e l'Elena romana fu Orazia (di che vi ha un'istoria affatto la stessa tra greci, ch'è rapportata da Gerardo Giovanni Vossio nella Rettorica), e i diece anni dell'assedio di Troia a' greci devon essere i diece anni dell'assedio di Vei a' latini, cioè un numero finito per un infinito di tutto il tempo innanzi, che le città avevano esercitato l'ostilità eterne tra loro.
      Perché la ragione de' numeri, perciocch'è astrattissima, fu l'ultima ad intendersi dalle nazioni (come in questi libri se ne ragiona ad altro proposito): di che, spiegandosi più la ragione, restò a' latini «sexcenta» (e così appresso gl'italiani prima si disse «cento» e poi «cento e mille») per dir un numero innumerabile, perché l'idea d'infinito può cader in mente sol de' filosofi. Quindi è forse che, per dire un gran numero, le prime genti dissero «dodeci»: come dodeci gli dèi delle genti maggiori, che Varrone e i greci numerarono trentamila; anco dodeci le fatighe d'Ercole, che dovetter essere innumerabili; e i latini dissero dodeci le parti dell'asse, che si può in infinite parti dividere; della qual sorta dovetter essere state dette le XII Tavole, per l'infinito numero delle leggi che furono in tavole, di tempo in tempo, appresso intagliate.


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Principj di scienza nuova
di Giambattista Vico
pagine 534

   





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