Il qual dee esser un anacronismo de' tempi ne' quali la plebe aveva già parte nella città e concorreva a criare i consoli (lo che fu dopo comunicati ad essolei i connubi da' padri), tirato da trecento anni indietro fin all'interregno di Romolo.
Questa voce «popolo», presa de' tempi primi del mondo delle città nella significazione de' tempi ultimi (perché non poterono né filosofi né filologi immaginare tali spezie di severissime aristocrazie), portò di séguito due altri errori in queste due altre voci: «re» e «libertà»; onde tutti han creduto il regno romano essere stato monarchico e la ordinata da Giunio Bruto essere stata libertà popolare. Ma Gian Bodino, quantunque entrato nel volgare comun errore, nel qual eran entrati innanzi tutti gli altri politici, che prima furono le monarchie, appresso le tirannidi, quindi le repubbliche popolari e alfine l'aristocrazie (e qui vedasi, ove mancano i veri princìpi, che contorcimenti si possono fare, e fansi di fatto, d'umane idee!), pure, osservando nella sognata libertà popolare romana antica che gli effetti erano di repubblica aristocratica, puntella il suo sistema con quella distinzione: che ne' tempi antichi Roma era popolare di Stato, ma che aristocraticamente fussesi governata. Con tutto ciò, pur riuscendogli contrari gli effetti e che, anco con tal puntello, la sua macchina politica pur crollava, costretto finalmente dalla forza del vero, con brutta incostanza confessa ne' tempi antichi la repubblica romana essere stata di Stato, nonché governo, aristocratica.
| |
Romolo Giunio Bruto Gian Bodino Roma Stato Stato
|