Per lo che dovetter essere zotici, crudi, aspri, fieri, orgogliosi, difficili ed ostinati ne' loro propositi e, nello stesso tempo, mobilissimi al presentarsi loro de' nuovi contrari obbietti: siccome tuttodì osserviamo i contadini caparbi, i quali ad ogni motivo di ragion detta loro vi si rimettono; ma, perché sono deboli di riflessione, la ragione, che gli aveva rimossi, tosto dalle loro menti sgombrando, si richiamano al lor proposito. E, per lo stesso difetto della riflessione, eran aperti, risentiti, magnanimi e generosi, qual è da Omero descritto Achille, il massimo di tutti gli eroi della Grecia. Sopra i quali esempli di costumi eroici Aristotile alzò in precetto d'arte poetica che gli eroi, i quali si prendono per subbietti delle tragedie, eglino non sieno né ottimi né pessimi, ma di grandi vizi e di grandi virtù mescolati. Perché cotesto eroismo di virtù, la qual sia compiuta sopra la sua idea ottima, egli è di filosofi, non di poeti; e cotesto eroismo galante è di poeti che vennero dopo Omero, i quali o ne finsero le favole di getto nuove, o le favole, nate dapprima gravi e severe, quali convenivano a fondatori di nazioni, poscia, effemminandosi col tempo i costumi, essi alterarono e finalmente corruppero. Gran pruova è di ciò (e la stessa dee essere un gran canone di questa mitologia istorica che ragioniamo) che Achille, il quale per quella Briseide ad essolui tolta da Agamennone fa tanti romori che n'empie la terra e 'l cielo e ne porge la materia perpetua a tutta l'Iliade, non ne mostra, in tutta l'Iliade, pur un menomo senso di passion amorosa d'esserne rimasto privo; e Menelao, che per Elena muove tutta la Grecia contro di Troia, non ne mostra, per tutta quella lunga e gran guerra, un segno, pur picciolo, d'amoroso cruccio di gelosia che la si goda Paride, il quale gliel'aveva rapita.
| |
Omero Achille Grecia Aristotile Omero Achille Briseide Agamennone Iliade Iliade Menelao Elena Grecia Troia Paride
|