Così Enea scende nell'inferno (che truovammo dapprima non più profondo dell'altezza de' solchi), e a Dite (dio delle ricchezze eroiche, dell'oro poetico, del frumento; il quale Dite lo stesso fu che Plutone, che rapì Proserpina, che fu la stessa che Cerere, la dea delle biade) presenta il ramo d'oro (ove il gran poeta la metafora delle poma d'oro, che sopra truovammo essere le spighe del grano, porta più innanzi al ramo d'oro, alle messe). Ad un tal ramo svelto succede l'altro (perché non proviene la seconda raccolta senonsé l'anno dopo essersi fatta la prima); ch'ove gli dèi si compiacciono, volentieri e facile siegue la mano di chi l'afferra, altrimente non si può svellere con niuna forza del mondo (perché le biade, ove Dio voglia, naturalmente provengono; ove non voglia, con niuna umana industria si posson raccogliere). Quindi, per mezzo dell'inferno, si porta ne' Campi Elisi (perché gli eroi, con lo star fermi ne' campi colti, morti poi godevano, con le seppolture, la pace eterna, com'abbiamo sopra spiegato), e quivi egli vede i suoi antenati e vegnenti (perché con la religione delle seppolture, ch'i poeti dissero «inferno», come sopra si è pur veduto, si fondarono le prime geanologie, dalle quali pur sopra si è detto aver incominciato la storia).
La terra da' poeti teologi fu sentita con la guardia de' confini, ond'ella ebbe sì fatto nome di «terra». La qual origin eroica serbaron i latini nella voce «territorium», che significa «distretto», da ivi dentro esercitare l'imperio; che, con errore, i latini gramatici credono esser detto a «terrendo» de' littori, che col terrore de' fasci facevano sgombrare la folla, per far largo a' maestrati romani.
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