XIV
dell'incostante varietà de' dialetti,
XV
e di avere fatto gli uomini dèi e gli dèi uomini.
Le quali favole Dionigi Longino non si fida di sostenere che co' puntelli dell'allegorie filosofiche, cioè a dire che, come suonano cantate a' greci, non possono avergli produtto la gloria d'essere stato l'ordinatore della greca civiltà: la qual difficultà ricorre in Omero la stessa, che noi sopra, nell'Annotazioni alla Tavola cronologica, facemmo contro d'Orfeo, detto il fondatore dell'umanità della Grecia. Ma le sopradette furono tutte propietà di essi popoli greci, e particolarmente l'ultima: che, nel fondarsi, come la teogonia naturale sopra l'ha dimostrato, i greci di sì pii, religiosi, casti, forti, giusti e magnanimi, tali fecero i dèi; e poscia, col lungo volger degli anni, con l'oscurarsi le favole e col corrompersi de' costumi, come si è a lungo nella Sapienza poetica ragionato, da sé, dissoluti estimaron gli dèi, - per quella Degnità, la qual è stata sopra proposta: che gli uomini naturalmente attirano le leggi oscure o dubbie alla loro passione ed utilità, - perché temevano gli dèi contrari a' loro voti, se fussero stati contrari a' di loro costumi, com'altra volta si è detto.
XVI
Ma di più appartengono ad Omero per giustizia i due grandi privilegi, che 'n fatti son uno, che gli danno Aristotile, che le bugie poetiche, Orazio, che i caratteri eroici solamente si seppero finger da Omero. Onde Orazio stesso si professa di non esser poeta, perché o non può o non sa osservare quelli che chiama «colores operum», che tanto suona quanto le «bugie poetiche», le quali dice Aristotile; come appresso Plauto si legge «obtinere colorem» nel sentimento di «dir bugia che per tutti gli aspetti abbia faccia di verità», qual dev'esser la buona favola.
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