I nuovi furono i lirici melici, de' quali è principe Pindaro, che scrissero in versi che nella nostra italiana favella si dicon «arie per musica»; la qual sorta di verso dovette venire dopo del giambico, che fu la spezie di verso nel quale, come sopra si è dimostrato, volgarmente i greci parlarono dopo l'eroico. Così Pindaro venne ne' tempi della virtù pomposa di Grecia, ammirata ne' giuochi olimpici, ne' quali tai lirici poeti cantarono; siccome Orazio venne a' tempi più sfoggiosi di Roma, quali furono quelli sotto di Augusto; e nella lingua italiana è venuta la melica ne' di lei tempi più inteneriti e più molli.
I tragici poi e i comici corsero dentro questi termini: che Tespi in altra parte di Grecia, come Anfione in altra, nel tempo della vendemmia diede principio alla satira, ovvero tragedia antica, co' personaggi de' satiri, ch'in quella rozzezza e semplicità dovettero ritruovare la prima maschera col vestire i piedi, le gambe e cosce di pelli caprine, che dovevan aver alla mano, e tingersi i volti e 'l petto di fecce d'uva, ed armar la fronte di corna (onde forse finor, appresso di noi, i vendemmiatori si dicono volgarmente «cornuti»); e sì può esser vero che Bacco, dio della vendemmia, avesse comandato ad Eschilo di comporre tragedie; e tutto ciò convenevolmente a' tempi che gli eroi dicevano i plebei esser mostri di due nature, cioè d'uomini e di caproni, come appieno sopra si è dimostrato. Così è forte congettura che anzi da tal maschera che da ciò: - che in premio a chi vincesse in tal sorta di far versi si dasse un capro (il qual Orazio, senza farne poi uso, riflette e chiama pur «vile»), il quale si dice trágos, - avesse preso il nome la tragedia, e ch'ella avesse incominciato da questo coro di satiri.
| |
Pindaro Pindaro Grecia Orazio Roma Augusto Tespi Grecia Anfione Bacco Eschilo Orazio
|