E tal giurisprudenza estimava il giusto dalla sola solennità delle divine cerimonie; onde venne a' romani tanta superstizione degli atti legittimi, e nelle loro leggi ne restarono quelle frasi «iustæ nuptiæ», e «iustum testamentum», per nozze e testamento «solenni».
La seconda fu la giurisprudenza eroica, di cautelarsi con certe propie parole, qual è la sapienza di Ulisse, il quale, appo Omero, sempre parla sì accorto, che consiegua la propostasi utilità, serbata sempre la propietà delle sue parole. Onde tutta la riputazione de' giureconsulti romani antichi consisteva in quel lor «cavere»; e quel loro «de iure respondere» pur altro non era che cautelar coloro, ch'avevano da sperimentar in giudizio la lor ragione, d'esporre al pretore i fatti così circostanziati, che le formole dell'azioni vi cadessero sopra a livello, talché il pretore non potesse loro niegarle. Così, a' tempi barbari ritornati, tutta la riputazion de' dottori era in truovar cautele d'intorno a' contratti o ultime volontà ed in saper formare domande di ragione ed articoli: ch'era appunto il «cavere» e «de iure respondere» de' romani giureconsulti.
La terza è la giurisprudenza umana, che guarda la verità d'essi fatti e piega benignamente la ragion delle leggi a tutto ciò che richiede l'ugualità delle cause; la qual giurisprudenza si celebra nelle repubbliche libere popolari, e molto più sotto le monarchie, ch'entrambe sono governi umani.
Talché le giurisprudenze divina ed eroica si attennero al certo ne' tempi delle nazioni rozze; l'umana guarda il vero ne' tempi delle medesime illuminate.
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Ulisse Omero
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