Lo che sia detto per coloro i quali vogliono che tal pena non fu mai praticata in Roma.
Appresso vennero le pene benigne, praticate nelle repubbliche popolari, dove comanda la moltitudine, la quale, perché di deboli, è naturalmente alla compassione inchinata; e quella pena - della qual Orazio (inclito reo d'una collera eroica, con cui aveva ucciso la sorella, la qual esso vedeva piangere alla pubblica felicità) il popolo romano assolvette «magis admiratione virtutis quam iure caussæ» (conforme all'elegante espressione di Livio, altra volta sopra osservata), - nella mansuetudine della di lui libertà popolare, come Platone ed Aristotile, ne' tempi d'Atene libera, poco fa udimmo riprendere le leggi spartane, così Cicerone grida esser inumana e crudele, per darsi ad un privato cavaliere romano, Rabirio, ch'era reo di ribellione. Finalmente si venne alle monarchie, nelle qual'i principi godono di udire il grazioso titolo di «clementi».
Come dalle guerre barbare de' tempi eroici, che si rovinavano le città vinte, e gli arresi, cangiati in greggi di giornalieri, erano dispersi per le campagne a coltivar i campi per gli popoli vincitori (che, come sopra ragionammo, furono le colonie eroiche mediterranee) - quindi per la magnanimità delle repubbliche popolari, le quali, finché si fecero regolare da' lor senati, toglievano a' vinti il diritto delle genti eroiche e lasciavano loro tutti liberi gli usi del diritto natural delle genti umane ch'Ulpiano diceva (onde, con la distesa delle conquiste, si ristrinsero a' cittadini romani tutte le ragioni, che poi si dissero «propriæ civium romanorum», come sono nozze, patria potestà, suità, agnazione, gentilità, dominio quiritario o sia civile, mancipazioni, usucapioni, stipulazioni, testamenti, tutele ed eredità; le quali ragioni civili tutte, innanzi d'esser soggette, dovettero aver propie loro le libere nazioni) - si venne finalmente alle monarchie, che vogliono, sotto Antonino Pio, di tutto il mondo romano fatta una sola Roma.
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