La cui ragione esce da' princìpi della poesia che si sono sopra truovati: che gli autori del diritto romano, nell'età che non potevano intendere universali intelligibili, ne fecero universali fantastici; e come poi i poeti, per arte, ne portarono i personaggi e le maschere nel teatro così essi, per natura, innanzi avevano portato i «nomi» e le «persone» nel fòro.
Perché «persona» non dev'essere stata detta da «personare», che significa «risuonar dappertutto» - lo che non bisognava ne' teatri assai piccioli delle prime città (quando, come dice Orazio, i popoli spettatori erano piccioli, che si potevano numerare) che le maschere si usassero, perché ivi dentro talmente risuonasse la voce ch'empiesse un ampio teatro; né vi acconsente la quantità della sillaba, la quale, da «sono», debb'esser brieve; - ma dev'esser venuto da «personari», il qual verbo congetturiamo aver significato «vestir pelli di fiere» (lo che non era lecito ch'a' soli eroi), e ci è rimasto il verbo compagno «opsonari», che dovette dapprima significare «cibarsi di carne selvaggine cacciate», che dovetter essere le prime mense opime, qual'appunto de' suoi eroi le descrive Virgilio. Onde le prime spoglie opime dovetter essere tali pelli di fiere uccise, che riportarono dalle prime guerre gli eroi, le quali prime essi fecero con le fiere per difenderne sé e le loro famiglie, come sopra si è ragionato, e i poeti di tali pelli fanno vestire gli eroi e, sopra tutti, di quella del lione, Ercole. E da tal origine del verbo «personari», nel suo primiero significato che gli abbiamo restituito, congetturiamo che gl'italiani dicono «personaggi» gli uomini d'alto stato e di grande rappresentazione.
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Orazio Virgilio Ercole
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