Ma non ne considerarono l'altra non meno importante, ch'era l'eternità, la qual dovevano pur avvertire in quelle due regole di ragione, che stabiliscono, la prima, che, «cessante fine legis, cessat lex»; ove non dicono «cessante ratione», perché il fine della legge è l'uguale utilità delle cause, la qual può mancare; ma la ragione della legge essendo una conformazione della legge al fatto, vestito di tali circostanze, le quali, sempre che vestono il fatto, vi regna viva sopra la ragion della legge; - l'altra, che «tempus non est modus constituendi vel dissolvendi iuris» perché 'l tempo non può cominciare né finire l'eterno, e nell'usucapioni e prescrizioni il tempo non produce né finisce i diritti, ma è pruova che chi gli aveva abbia voluto spogliarsene; né, perché si dica «finire l'usufrutto», per cagion d'esemplo, il diritto finisce, ma dalla servitù si riceve alla primiera sua libertà. Dallo che escono questi due importantissimi corollari: il primo, ch'essendo i diritti eterni nel di lor intelletto, o sia nella lor idea, e gli uomini essendo in tempo, non posson i diritti altronde venire agli uomini che da Dio; il secondo, che tutti gl'innumerabili vari diversi diritti, che sono stati, sono e saranno nel mondo, sono varie modificazioni diverse della potestà del primo uomo, che fu il principe del gener umano, e del dominio ch'egli ebbe sopra tutta la terra.
Or, poiché certamente furono prima le leggi, dopo i filosofi, egli è necessario che Socrate, dall'osservare ch'i cittadini ateniesi nel comandare le leggi si andavan ad unire in un'idea conforme d'un'ugual utilità partitamente comune a tutti, cominciò ad abbozzare i generi intelligibili, ovvero gli universali astratti, con l'induzione, ch'è una raccolta di uniformi particolari, che vanno a comporre un genere di ciò nello che quei particolari sono uniformi tra loro.
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Dio Socrate
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