La qual alleanza ineguale non era altro ch'un'investitura di feudo sovrano, la quale si concepiva con quella formola che ci lasciò stesa Livio: che tal re alleato «servaret maiestatem populi romani»; appunto come Paolo giureconsulto dice che 'l pretore rende ragione «servata maiestate populi romani», cioè che rende ragione a chi le leggi la danno, la niega a chi le leggi la niegano. Talché tali re alleati erano signori di feudi sovrani soggetti a maggiore sovranità: di che ritornò un senso comune all'Europa, che per lo più non vi hanno il titolo di «Maestà» che grandi re, signori di grandi regni e di numerose provincie.
Con tali feudi rustici, da' qual'incominciarono queste cose, ritornarono l'enfiteusi, con le quali era stata coltivata la gran selva antica della terra; onde il laudemio restò a significar egualmente ciò che paga il vassallo al signore e l'enfiteuticario al padrone diretto.
Ritornarono l'antiche clientele romane, che furono dette «commende», le quali poco più sopra abbiamo fatto vedere; onde i vassalli, con latina eleganza e propietà, da' feudisti eruditi ne sono detti «clientes», ed essi feudi si dicono «clientelæ».
Ritornarono i censi, della spezie del censo ordinato da Servio Tullio, per lo quale i plebei romani dovettero lungo tempo servir a' nobili nelle guerre a lor propie spese; talché i vassalli detti ora «angarii» e «perangarii» furono gli antichi assidui romani, che, come truovammo sopra, «suis assibus militabant»; e i nobili fino alla legge Petelia, che sciolse alla plebe romana il diritto feudale del nodo, ebbero la ragione del carcere privato sopra i plebei debitori.
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