Imperciocché vogliono gli uomini usar la libidine bestiale e disperdere i loro parti, e ne fanno la castità de' matrimoni, onde surgono le famiglie; vogliono i padri esercitare smoderatamente gl'imperi paterni sopra i clienti, e gli assoggettiscono agl'imperi civili, onde surgono le città; vogliono gli ordini regnanti de' nobili abusare la libertà signorile sopra i plebei, e vanno in servitù delle leggi, che fanno la libertà popolare; vogliono i popoli liberi sciogliersi dal freno delle lor leggi, e vanno nella soggezion de' monarchi; vogliono i monarchi in tutti i vizi della dissolutezza che gli assicuri, invilire i loro sudditi, e gli dispongono a sopportare la schiavitù di nazioni più forti; vogliono le nazioni disperdere se medesime, e vanno a salvarne gli avanzi dentro le solitudini, donde, qual fenice, nuovamente risurgano. Questo, che fece tutto ciò, fu pur mente, perché 'l fecero gli uomini con intelligenza; non fu fato, perché 'l fecero con elezione; non caso, perché con perpetuità, sempre così faccendo, escono nelle medesime cose.
Adunque, di fatto è confutato Epicuro, che dà il caso, e i di lui seguaci Obbes e Macchiavello; di fatto è confutato Zenone, e con lui Spinosa, che danno il fato: al contrario, di fatto è stabilito a favor de' filosofi politici, de' quali è principe il divino Platone, che stabilisce regolare le cose umane la provvedenza. Onde aveva la ragion Cicerone, che non poteva con Attico ragionar delle leggi, se non lasciava d'esser epicureo e non gli concedeva prima la provvedenza regolare l'umane cose: la quale Pufendorfio sconobbe con la sua ipotesi, Seldeno suppose e Grozio ne prescindé; ma i romani giureconsulti la stabilirono per primo principio del diritto natural delle genti.
| |
Epicuro Obbes Macchiavello Zenone Spinosa Platone Cicerone Attico Pufendorfio Seldeno Grozio
|