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      La cucina non annovera molta varietà di intingoli, neppure per le tavole principesche. Ai figli nessuna educazione, e tutt'al più imparano a leggere e raramente a scrivere da un prete. Morendo non si usa di far testamento, ma solo agli ultimi istanti il padre dice: lascio i miei poderi a dividersi fra miei figli; e questi in seguito si dividono l'eredità in parti uguali, maschi e femmine.
      Un uso strano hanno nel mangiare la carne cruda. Staccano solo a metà il pezzo che vogliono mettere in bocca, poi preso questo fra denti e tenendo il grosso pezzo in mano, finiscono di staccarlo con un taglio dal basso all'alto rasente le labbra. Se si pensa che spesso il coltello è la sciabola, si potrà immaginare quanto sia poco rassicurante trovarsi fra due che mangiano con questo sistema.
      L'Abissinese mangia la vera carne muscolosa del bue e ne getta quasi con ribrezzo il cuore e il fegato, mentre, per esempio, il Patagone e il gaucho della pampa preferiscono queste parti a tutto il resto, e spesso ammazzano un bue semplicemente per soddisfare questa ghiottoneria.
      Passiamo la Pasqua in Adua, e quattro cose sono a rimarcarsi a quest'epoca: il baccano infernale che si fa la notte in tutte le chiese: l'uso che i preti vanno a deporre in tutte le case dei mazzetti di fusti di un'erba palustre, che poi ognuno si mette attorno al fronte come lo spago di un ciabattino: gli anelli molto ingegnosamente fatti con foglie di palma intrecciate, e tutti ne vanno fabbricando, tutti ne regalano reciprocamente e tutti ne hanno coperte le dita: la fine del digiuno quaresimale, fa che ogni casa quasi diventa macelleria, e per la sera tutti indistintamente sono pieni di brondò e di tecc, e se ne vedono e sentono dovunque le conseguenze.


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Abissinia
Giornale di un viaggio
di Giuseppe Vigoni
Editore Hoepli Milano
1881 pagine 284

   





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