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      Sabato 3 ci incamminiamo alle sei e si continua per due ore nell'altipiano stesso, poi si comincia una ripida discesa fra vallate coperte da vegetazione fra cui primeggiano grossi alberi di gardenia dai fiori grandissimi, che quasi rendono l'atmosfera troppo carica del loro delicato profumo. Più ci abbassiamo, il caldo aumenta, fino a diventare soffocante. A mezzogiorno, sortendo da un folto bosco ci troviamo dinanzi il Taccazè che colle sue acque fangose scorre tranquillo e quasi imponente; lo passiamo a guado essendo meno di un metro di profondità al centro, e una sessantina di larghezza. Eccoci entrati nella provincia dell'Amara, ed eccoci forse chiusa la sortita per parecchi mesi, se il forte delle piogge ci sorprende prima che possiamo incamminarci pel ritorno. Scorre piuttosto incassato fra un vero ammasso di alture, ed ai lati è fiancheggiato da vegetazione folta, rigogliosa, gigantea; gli alberi secolari sono legati fra loro da una vera rete di liane, e centinaia di scimmie li popolano e ci divertono coi loro gridi, salti e modacci. Mettiamo il campo sotto colossali acacie e adansonie, poco sopra il livello dell'acqua che scorre a 950 metri di elevazione. L'incanto della posizione avrebbe bastato a farci passare intere giornate, ma per le poche ore che vi restiamo troviamo invece ad aggiungervi caccia di antilopi nelle colline, di anatre e oche nel fiume e dell'ipopotamo, che sollevando la testa fuori l'acqua e sbuffando, ci fece consumare buon numero di cartucce.
      In questa stagione l'aria è buona presso i fiumi, ma dopo le piogge è altrettanto pestilenziale, e ciò deriva dalla grande vegetazione che impedisce la corrente d'aria, e dalla piccola vegetazione annuale e dalle masse di foglie che cadono e che vanno in putrefazione, dando così origine ai miasmi che sono un vero veleno.


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Abissinia
Giornale di un viaggio
di Giuseppe Vigoni
Editore Hoepli Milano
1881 pagine 284

   





Taccazè Amara