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      Le antiche leggi ateniesi non permisero al cittadino il far testamento. Solone lo accordò, quegli eccettuando che avevano figlioli, come in Plutarco, Vita di Solone, ed al contrario i Romani, pieni dell'idea della paterna podestà, concessero il poter testare anche in pregiudizio de' figlioli. Presso quindi l'antica Roma si faceano i testamenti alla presenza d'un'assemblea di popoli o almeno di sette testimonij. I sordi, mutoli e prodighi non ammettevansi alla facoltà di far testamento, mentre di ciò ce ne dan raggione le leggi Voconia, Furia, Falcidia, Junia, Velleja, Cornella, Aelia, Sentia e sopratutto il commentatore Ulpiano ne' suoi Frammenti, tit. 10, paragrafo 2, siccome in tal legge di esclusione cadevano i figlioli di famiglia, con tutto che per essi ne procedesse il permesso del padre.
      I parenti del defunto nella Francia eran tenuti fare il testamento che non fece il moribondo, e ciò all'oggetto di dare qualche cosa alla Chiesa per non condannare il morto dell'infamia di dirsi non confesso e privo in conseguenza della comunione eucaristica e della sepoltura, così costando dal signor di Montesquieu nel suo Spirito della legge, lib. 28, cap. 41, t. 3°, f. 16. I militari, trovandosi sopra l'armi nell'esercito, non poteano far testamento, per la mancanza che aveano della presenza dell'assemblea del popolo, ma poi tal lege fu revocata.
      Si concepiscono i testamenti in termini imperatrici, perchè il testatore in quell'atto vien considerato investito della potestà legislativa che v'infonde il popolo, così appo Montesquieu, lib.


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Autoapologia
La mia vita le mie virtù le mie opere
di Francesco Maria Emanuele e Gaetani (marchese di Villabianca)
pagine 144

   





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