E quando il detto Manfredi si vide in gloria e inn-istato, si pensò di farsi fare re di Cicilia e di Puglia, e perché ciò gli venisse fatto, si recò ad amici con ispendio, e doni, e promesse, e ufici, i maggiori baroni de·Regno. E sappiendo come del re Currado suo fratello era rimaso uno suo figliuolo chiamato Curradino, il quale per ragione era diritto erede del reame di Cicilia, e era in Alamagna a la guardia della madre, sì si pensò una frodolente malizia per esser re, ch'elli raunò tutti i baroni del Regno, e propuose loro quello ch'avesse a·ffare della signoria, con ciò fosse cosa che elli avesse novelle come il suo nipote Curradino era grave infermo, e da non potere mai reggere reame; onde per gli suoi baroni fue consigliato che mandasse suoi ambasciadori in Alamagna a sapere dello stato di Curradino, e se fosse morto o infermo. Infino allora consigliavano che Manfredi fosse fatto re. A·cciò s'accordò Manfredi, come colui che tutto avea ordinato fittiziamente, e mandati i detti ambasciadori a Curradino e a la madre con ricchi presenti e grandi proferte. I quali ambasciadori giunti in Soavia, trovarono il garzone che la madre ne facea gran guardia, e co·llui tenea più altri fanciulli di gentili uomini vestiti di sua roba: dimandando i detti ambasciadori Curradino, la madre temendo di Manfredi, sì mostrò loro uno de' detti fanciulli. E quegli con ricchi presenti gli feciono doni e reverenzia, intra' quali doni furono de' confetti di Puglia avelenati, e quello garzone prendendone, tosto morìo. Eglino credendo Curradino avere morto di veleno, si partirono d'Alamagna, e come furono tornati in Vinegia, feciono fare alla loro galea vele di panno nero e tutti gli arredi neri, e eglino si vestiro a nero; e sì come giunsono in Puglia feciono sembiante di grande dolore, sì come da Manfredi erano amaestrati.
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