Ma come piacque a Dio, lo 'mperadore prese consiglio la notte d'andarsene al diritto a la città di Firenze, credendolasi avere sanza contasto, lasciandosi l'oste de' Fiorentini adietro ne l'Ancisa, come assediati e molto impauriti e peggio ordinati.
XLVII
Come lo 'mperadore Arrigo si puose ad oste a la città di Firenze.
E così il seguente giorno, dì XVIIII di settembre MCCCXII, lo 'mperadore venne ad oste a la città di Firenze, ardendo la sua gente quanto si trovavano innanzi; e così passò il fiume d'Arno allo 'ncontro ov'entra la Mensola, e attendossi a la badia di Santo Salvi forse con M cavalieri. L'altra sua gente rimase in Valdarno, e parte a Todi, i quali gli vennero poi. E vegnendo per lo contado di Perugia, da' Perugini furono assaliti e quegli si difesono: con danno e vergogna de' Perugini passarono. E giunse lo 'mperadore sì sùbito, che i più de' Fiorentini non poteano credere vi fosse in persona; ed erano sì ismarriti per tema della loro cavalleria, ch'era rimasa a l'Ancisa quasi come isconfitti, che se lo 'mperadore o sua gente in su la sùbita venuta fossono venuti a le porte, le trovavano aperte e male guernite; e per gli più si crede ch'avrebbe presa la città. Tuttora i Fiorentini, veggendo l'arsioni delle case per lo cammino facea, a suono di campana s'armarono il popolo e co' gonfaloni delle compagnie vennero ne la piazza de' loro priori, e 'l vescovo di Firenze con cavagli de' cherici s'armò, e trasse a la difensione de la porta di Santo Ambruogio e di fossi, e tutto il popolo a piede co·llui, e serraro le porte, e ordinarono i gonfalonieri e loro gente su per gli fossi a le poste a la guardia de la città di dì e di notte.
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