a Tobia disse l'angelo: "Però che tu eri caro a Dio, fue necessario che la tentazione ti provasse". Or crediamo noi e voi esere migliori e più inocenti che li nostri padri patriarchi, i quali per tante miserie di battiture o mandate o concedute da Dio trapassaro i santi? O desdegnamo, o maggiormente indegnamo noi degni membri di patire quelle cose le quali non ischifarono gli apostoli, nostro corpo la Chiesa, nostro capo Cristo, cioè il fuoco, il ferro, li martirii villani, noi quasi dischiattati, e come non apartenessimo loro, e come non partefici di loro fortuna, o forse più santi, con impazienzia portiamo cotali cose? Ma·sse per impazienzia ch'è in noi, elli ci pare troppo malagevole seguitare li padri di ciascuno testamento, almeno non disdegnamo per pazienzia le virtudi prendere esempli da l'infedeli prencipi e filosofi, li quali furono: come scrive Seneca, libro primo dell'ira, di Fabio, che prima vinse l'ira sua che Anibale; e Iulio Cesare nel libro della vita de' Cesari; e d'Ottaviano Agusto nel Policrato libro terzo, capitolo XIIII; di Domiziano, sì come testimonia il bello parlatore Licinio; ed Antigone re, secondo Seneca, libro terzo dell'ira; e de la pazienzia de' filosofi, cioè di Socrate libro terzo di Seneca de l'ira, e di Diogenes libro III dell'ira, anzi il fine, a ciò che non passi il manifesto od occulto lamentamento d'alcuno o d'alcuni, sì com'è contradio. Ancora per li mormoramenti de li credenti che dicono che questi tempi sono peggiori che gli antichi tempi e che Idio hae riserbato la indegnazione dell'ira sua infino ad ora e ch'elli hae serbati li presenti die a spandere quella, leggano overo odano li leggenti da Adam fatiche e sudore, spine, e triboli, diluvio, dicadimento; trapassarono tempi pieni di fatica, di fame e di guerre, e però sono scritte, a ciò che noi non mormoriamo del presente tempo contra Dio.
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