Non appena gli studi del medio evo hanno provato che, innanzi al sorgere della letteratura italiana, non era stato poi tutto avvolto nell'ignoranza e nelle tenebre; ecco che da un lato si pretende quasi togliere ogni vanto all'Italia, dall'altro v'è chi vorrebbe negare ogni valore a quelle ricerche. Ma la scienza continua il suo cammino, e le dispute cessano innanzi al vero, che si propaga.
III.
Ci sia permesso di riassumere brevemente la questione.
Il latino fu uno degli antichi dialetti italici, quello che in Roma parlarono i Patrizii. Salito a dignità di lingua letterata, per opera degli scrittori, insieme colle armi e le leggi romane, estese le sue conquiste nelle varie province, e dominò sui dialetti che vi si parlavano. Ben presto divenne la lingua ufficiale e la lingua degli scrittori, in quasi tutto l'impero. Ma l'impero cadde, e nel vorticoso turbine che seguiva, si confusero tutte le classi; andarono in fascio le leggi e le istituzioni; si spezzarono le tradizioni letterarie, e i vincoli grammaticali della lingua, che perdette subito il vigore, che l'aveva resa dominatrice. S'erano sollevati i popoli, e insieme coi popoli, parve che si sollevassero ancora i dialetti, quasi liberi anch'essi da un'antica oppressione. Nuove forme di dire si manifestarono per tutto, moltiplicandosi e mutando in una così rapida vicenda, da farle paragonare al vigoroso rigoglio delle vegetazioni tropicali. Quando i vincoli e le tradizioni sociali si spezzano, noi ritorniamo fanciulli, e siamo come i popoli primitivi, che rinnovano continuamente i loro linguaggi, dimostrando in ciò una fecondità, che il progresso della cultura sembra inaridire.
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