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      E se i lirici, che presero a modello i maestri della gaia scienza, furono così numerosi e così noti, che non occorre neppure nominarli; meno osservata, ma non meno generale è stata la imitazione francese. Da per tutto in Italia, non solo si traduceva dal francese, ma si scriveva in francese. Rusticiano da Pisa, a cui è attribuito un romanzo francese della Tavola Rotonda, in quella medesima lingua scrisse il Milione di Marco Polo, che l'autore gli dettò in prigione. Niccolò da Verona scrisse in francese un poema sulla passione, circa il 1300, altri se ne trovano fino al 1358. Brunetto Latini scrisse il suo Tesoro in francese, perchè egli lo giudicava plus delitable langage et plus commun que moult d'autres; nel Tesoretto aveva già promesso, che in un'opera di maggior mole, avrebbe preferito il francese all'italiano, per meglio esprimere la sua dottrina. Ed il suo francese è poi così corretto e grammaticale, da esser tenuto per modello, nella letteratura di quei tempi. Fazio degli Uberti, nel suo Dittamondo, parlando di Parigi, s'esprime così:
      Qui le scïenze con lor dolce suonoPer tutto, le divine e le mortali,
      E dì e notte, udir cantar si pono.
      Ivi egli fa parlare in versi provenzali uno dei personaggi, e vi pone anche 73 versi francesi, che da alcuni vennero preferiti agl'italiani dello stesso autore. L'Acerba di Cecco d'Ascoli, che parla con sì poco rispetto di Dante, è in qualche parte imitazione del poema l'Image du Monde. Aldobrandino da Siena, Niccolò Casola, Niccolò da Padova, ed un altro gran numero d'Italiani scrissero in francese.


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Antiche leggende e tradizioni che illustrano la Divina Commedia
di Pasquale Villari
1865 pagine 287

   





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