Ecco come egli ragiona della lingua e poesìa francese: "La lingua si trasformava senza posa, perchè niuno s'adopera a renderla corretta, regolare, e perchè, fra gli autori che meglio riuscirono a propagarla, niuno seppe determinarla e fermarla. Guai alle opere trascinate dall'onda delle eterne mutazioni! Non essendosi mai fatta una scelta severa, fra i capricci mutabili della lingua d'ogni giorno, essa muta presto e si rinnovella. Siccome non v'è legge, l'usanza regna sola, e non regna che un momento: si direbbe che molte lingue diverse si succedono. In questo modo, gl'ingegni più eletti potevano esser deviati dal lavorare intorno ad opere, che dovevano perire"11. Non fu dunque nè il caso, nè la colpa dei posteri, se quelle opere d'un giorno non vissero che un giorno. Ma ascoltiamo ancora un altro dotto archeologo francese. Édélstand du Méril, dopo aver notato, che quegli antichi poeti alteravano, coi loro sentimenti personali, le storie che pretendevano narrare, continua così: "Se un fatto colpiva l'immaginazione, per le difficoltà che si dovettero vincere, o le conseguenze che aveva prodotte, subito esso pigliava, nella bocca del popolo, proporzioni gigantesche. Non si discorre più di uomini ordinarii; ma di eroi, che la tradizione ingrandisce a piacere, con imprese impossibili. La realtà si nasconde sotto metafore, il cui vero significato s'altera assai presto; e si finisce così, col dare un valore storico a figure di rettorica. Negli ultimi anni dell'XI secolo, le antiche tradizioni nazionali, non ancora dimenticate, avevan pure subìto queste trasformazioni; ma quando, divenuto più generale e più vivo il gusto della poesìa, ebbe così stranamente moltiplicato i poeti, che se ne poteron trovare fino a 1,500 nella stessa festa; allora ognuno emulava gli altri, con invenzioni più accette al suo pubblico.
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Méril
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