Quindi ne dovette seguire, che fino a quando la sorgente della ispirazione non partì dalla nuova coscienza cristiana, la letteratura s'aggirò in una serie di vani o puerili tentativi. E ciò si vide chiaramente nei poeti provenzali e francesi, che caddero nell'esagerato e nel convenzionale, prima di toccare il vero, e non poterono mai uscire dal circolo vizioso, in cui si eran chiusi, e da cui solo l'Italia seppe cavarli. Orlando, Rinaldo e tutti i paladini di Carlo Magno e della Tavola rotonda debbono assai più a quei poeti, come Berni ed Ariosto, i quali con l'ironìa dettero loro un ultimo addio, che non a tutti i più sinceri lodatori delle loro impossibili imprese, ai quali niuno darà mai la gloria, che pure accompagna sempre le opere dell'arte vera, in tutti i tempi.
XI.
Gl'Italiani, adunque, vengono innanzi assai cauti e guardinghi. Essi vanno a Parigi, leggono tutti i romanzi francesi, e tutti i poeti della gaia scienza; ma non s'attentano ancora a scrivere la propria lingua. Se non sono ancora sicuri del fatto loro, preferiscono usare il latino o le lingue straniere. Ma quando scrivono le prime poesie volgari, l'italiano è uscito per sempre dall'incertezza, ed ha preso già quel carattere che serberà per più di sei secoli. E l'arte mantiene il medesimo indirizzo, perchè le prime parole sono anche i primi poemi del genere umano. Le antichissime canzoni dei nostri scrittori ce li mostrano già pronti ad uscire per sempre dalle convenzioni della gaia scienza e dai fantasmi della cavalleria.
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