Non possono di ciņ esser cagione i racconti stessi, che furon sempre invenzione del popolo, che si tramandano da una nazione e da una generazione all'altra, che i poeti presero sempre, ovunque li trovarono e da chiunque li ebbero. Nč Shakspeare, nč Omero, nč Goethe inventarono i fatti che descrissero nelle loro poesie; e nulla toglie nč aggiunge ai drammi d'Otello e di Giulietta l'essere il soggetto preso dall'Italia. I poeti prendon dalla storia, dalla natura, dalla tradizione, ed in ciņ sono tutti uguali. Ma il mondo appartiene veramente all'uomo di genio, solo a condizione che sappia farlo suo. Egli deve impadronirsi dei personaggi, che ritrova, tradurli quasi in sostanza propria, e cavarli dal suo seno, come creazione della sua fantasia, da cui essi aspettano quella realtą e quella vita, che puņ farli rimanere immortali nel mondo dell'arte. Per qual ragione quei personaggi incerti, fantastici ed astratti dei racconti francesi, che traversano come ombre tutto il medio evo, divengono ad un tratto personaggi reali nel Decamerone? In essi troviamo, con la pił pura ed elegante favella, descritta la intricata e molteplice vicenda delle cose umane. Il maraviglioso e l'impossibile scompariscono, e ci viene invece riprodotto quel contrasto di capricciosa fortuna e d'umane passioni, che crea la mutabilitą della nostra sorte. Il poeta ha una grande esperienza degli uomini, ed un continuo sogghigno sulle labbra; perchč egli vede, sotto la sua penna, un mondo di sogni e fantasmi trasformarsi nel mondo reale di uomini schiavi delle loro passioni e dei pregiudizi, che essi medesimi crearono.
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