Egli incontra nel Purgatorio (XXIV, 49-60) Bona-giunta da Lucca, amico di Guittone d'Arezzo e del notaio Jacopo da Lentino, tre rimatori della vecchia scuola. Bonagiunta gli dice:
Ma di' s'io veggio qui colui che fuoreTrasse le nuove rime, cominciando:
Donne ch'avete intelletto d'amore?
Ed io a lui: Io mi son un che quandoAmore spira, noto, ed a quel modo
Che detta dentro, vo significando.
O frate, issa vegg'io, diss'egli, il nodoChe il Notaio e Guittone e me ritenne
Di qua dal dolce stil nuovo ch'i' odo.
Io veggio ben come le vostre penneDiretro al dittator sen vanno strette,
Che delle nostre certo non avvenne.
Ed è strano veramente che, dopo queste sì esplicite dichiarazioni del poeta, i suoi comentatori s'affatichino tanto intorno alle allegorie, intorno a quei passi, nei quali esso, non seguendo la voce del suo cuore, ricadeva negli artifizi del secolo, e diveniva oscuro a noi e forse a sè stesso. Quando, infatti, nel Convito e nella Vita Nuova si pone a spiegarci il senso riposto delle sue liriche, la oscurità diviene assai maggiore. Le sottili distinzioni, i sofismi, a cui s'abbandona e nei quali si perde, ci provano che il comento è ricaduto in quella scolastica, da cui il poeta s'era liberato. Chiedere a lui un significato chiaro di ciò, che forse per lui stesso era incerto e confuso, è opera vana; bisogna piuttosto chiedere al secolo la spiegazione d'un'arte, o più veramente d'un artifizio, di cui lo scrittore stesso non è sempre chiaro abbastanza. Ma di ciò parleremo più basso.
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