Nè contento di ciò, s'unisce con coloro che invitano lo straniero in Italia, e scrive un'opera per giustificare con una teorìa politica il suo incostante spirito di parte. Ma quando noi consideriamo che, insieme con Dante, molti dei più illustri e sinceri patriotti di Firenze si mutarono di Guelfi in Ghibellini; saremo allora costretti a portare sulla condotta politica del nostro poeta un diverso giudizio; perchè essa non ci apparisce più, come la conseguenza di opinioni e ragioni personali, ma bensì d'un mutamento generale, che ha luogo nelle parti stesse, in cui eran divise la repubblica fiorentina e l'Italia.
Il partito Guelfo era stato in origine il partito democratico e nazionale. Avverso ai Ghibellini, che erano sostenuti dall'Imperatore e dai signori feudali, esso combattè l'aristocrazia, il dominio straniero, e fu sostenitore delle libertà comunali in Italia. Il papa, in guerra continua coll'Imperatore, si trovò quindi protettore e capo naturale dei Guelfi, e sembrò amico della indipendenza dei comuni, i quali sorti in mezzo ad una società teocratica, obbedivano in sul principio ciecamente ai suoi voleri. Ma quando l'autorità dell'impero venne fiaccata, e il feudalismo crollava per ogni lato in Italia, le cose mutarono subito aspetto. I comuni, divenuti intolleranti d'ogni supremazia, osarono qualche volta chiudere le porte in faccia ai legati del papa, che voleva sempre soprastare. La società civile, acquistata coscienza della propria dignità, della sua autonomia, cercava per ogni dove liberarsi dal giogo teocratico.
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