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      Questo Impero, secondo l'Alighieri, deve essere universale e perenne; e chiunque contrasta la sua autorità, va contro i divini decreti. Ma la sua sede immutabile è l'Italia, è Roma; in mezzo al popolo predestinato, nella città eterna dei Consoli e dei Cesari, risplenderà di nuovo la gloria delle profanate tradizioni. E qui egli s'abbandona ciecamente alla sua utopìa. L'Impero deve lasciare a ciascuno Stato, antico o nuovo, principato o repubblica, i suoi statuti, le sue leggi. Esso sarà il regno della pace, della giustizia e della libertà; perchè il monarca universale non può estendere i confini della sua ambizione oltre quello che già possiede; non può desiderare altro che il bene de' suoi sudditi. I governatori saran destinati ai governati, e non viceversa. E fin qui non abbiamo altro, che l'utopia del fiero Ghibellino, il quale sentendo che con lui s'inizia una civilià nuova, e avendo nell'Italia dimenticato il municipio, sogna già la sua patria alla testa d'un mondo rinnovato14.
      In vero, questa unità generale fu diversamente, ma pur sempre cercata da tutti gli scrittori del medio evo, Guelfi o Ghibellini, i quali cominciavano e finivano sempre col ripetere, che la perfezione è nella unità, che vi deve essere un solo principe negli Stati, perchè un solo Dio governa il mondo; e volevano quindi un Monarca dei monarchi nel Papa o nell'Imperatore. Ma in tutto questo essi dimenticavano sempre la personalità, il valore della civile comunanza e dello Stato. Contro di ciò i fieri spiriti del repubblicano fiorentino reagivano fortemente, e noi siamo così condotti alla parte più originale della sua opera.


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Antiche leggende e tradizioni che illustrano la Divina Commedia
di Pasquale Villari
1865 pagine 287

   





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