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      Niuno certo vorrebbe credere d'aumentar pregio ai due più celebrati canti dell'Inferno, se riuscisse a provare che Francesca e il Conte Ugolino non furono personaggi storici, ma di sana pianta invenzioni del poeta. La storia ci fa, invece, meglio comprendere ed ammirare l'onnipotenza del genio di chi sapeva col suo spirito impadronirsi dei personaggi reali, farli suoi, evocarli dalla sua fantasia come proprie creazioni, nelle quali infondeva una vita immortale.
      L'Alighieri, anzi, è forse il solo, nella storia di tutte le letterature, che dovette creare la lingua, la forma d'un'epopea nuova, ed una nuova arte. Egli non trovò, come Shakespeare, una letteratura già progredita; non trovò, come Omero, un popolo già poeta, ed una mitologia che era, per sè stessa, un'epopea mirabile. Trovò invece delle invenzioni fantastiche, incerte, nebbiose; dei personaggi leggendarii, che erano passati di generazione in generazione, da popolo a popolo, senza mai potere uscire dalla vuota astrazione. Ma non appena questi fantasmi s'avvicinano a lui, risplendono d'una luce infinita, che essi diffondono per l'Europa, come aurora boreale; vengono innanzi pieni di vita e vigore, pieni di realtà; sorgono ad un tratto come personaggi storici, innanzi all'intelletto e alla letteratura di tutti i popoli moderni. Se non che questa trasformazione non avvien sempre in ugual modo; e però ne segue, che anche nella Divina Commedia ci resta qualche avanzo o frammento di quella letteratura oscura, inconsapevole, incerta, che aveva preceduto il poeta, e che egli veniva a distruggere.


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Antiche leggende e tradizioni che illustrano la Divina Commedia
di Pasquale Villari
1865 pagine 287

   





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