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      Quindi, mentre esso è il più evidente di tutti i poeti, il più chiaro, il più inarrivabile dei pittori, colui appunto che ha creato la semplicità e l'evidenza dell'arte moderna; ci presenta ancora, di tratto in tratto, qualche oscurità, che nessun comentatore antico o moderno ha saputo far chiara. Boccaccio, da Buti, Bosone da Gubbio, Pietro Alighieri e tanti altri, che furon quasi contemporanei del poeta, sembrano incontrare le medesime difficoltà che incontriamo noi, e non riescon sempre a dissipare la folta nebbia che avvolge alcuni passi. Ma v'è ancora di più. Noi abbiamo già notato, che quando lo stesse Dante si pone a comentare le sue liriche, e cerca spiegarne il significato allegorico, la oscurità viene qualche volta piuttosto accresciuta che diminuita dal suo comento. Onde non è cosa affatto strana il supporre, che se egli ci avesse comentato il divino Poema, le nostre difficoltà non sarebbero per questo cessate affatto.
      Si direbbe, che siccome il geologo, nell'esaminare i diversi strati d'un terreno, vi trova gli avanzi di piante e d'animali da lungo tempo scomparsi, e deve ricorrere alle leggi d'un'altra flora e d'un'altra fauna per spiegarli; così il critico della Divina Commedia, mentre esamina un'opera che fonda l'arte moderna, vi trova qualche avanzo d'una letteratura e d'una filosofia, che il genio di Dante stesso fece scomparire. E siccome egli ebbe una tale onnipotenza che pose ad un'infinita distanza da noi tutto ciò, che non distrusse in quella precedente poesia; così ne è seguito, che quando ci rammenta ancora quel passato, noi ci troviamo come in un mondo sconosciuto.


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Antiche leggende e tradizioni che illustrano la Divina Commedia
di Pasquale Villari
1865 pagine 287

   





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