Non è così del medio evo. La scolastica ci è di certo meno familiare della greca filosofia, e le costituzioni di Firenze e di Venezia meno note di quelle di Sparta o Atene; le lotte della Chiesa e dell'Impero sono per noi più oscure della guerra del Peloponneso. In vero non sarà mai possibile che letterature come quelle, che precedettero Dante, divengano soggetto di studio universale; ma la loro importanza per conoscere le origini della poesìa italiana, e della civiltà moderna è però grandissima. E questo serva a spiegarci l'ardore qualche volta lodevole, qualche volta esagerato, ma sempre costante, col quale da alcuni anni i dotti s'affaticano a mettere in luce tradizioni, leggende, superstizioni e poesìe, che tanto spesso non hanno alcun pregio intrinseco, e che nessuno sforzo basterà mai a cavare dalla oscurità in cui erano sepolte, ed in cui ritorneranno, dopo che la storia avrà saputo cavarne le sue conclusioni.
Quando dunque ritroviamo nella Divina Commedia le tre fiere misteriose, e Gerione, Cerbero, Lucifero, la città di Dite, ec.; dobbiamo ricordarci che queste immagini si trovano a brani sparse in tutto il medio evo, sono frammenti di ciò che lo stesso Ozanam chiamava la mitologia cattolica. E Dante riguardava anch'esso questo mondo fantastico, come qualche cosa di allegorico, di misterioso, verso cui il suo sentimento religioso lo trascinava continuamente. Egli ne trovava per tutto la descrizione e la riproduzione: la canzone del popolo e i sermoni dei sacri oratori gliene parlavano, i vetri colorati e le sculture delle più celebri cattedrali glielo portavano innanzi; lo trovava riprodotto perfino nelle feste popolari della repubblica fiorentina.
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