Lui, il Titiba, era assente quando il malaugurato evento sopravvenne. Tornando, trovò la moglie tutta in lacrime e le domandò che mai fosse successo. Quella lo informò della perdita, mescolando al racconto i più vivi rimproveri per la cocciutaggine del marito, che era stato sordo e restio ai consigli della prudenza.
Mortificato e dolente, il Titiba cercò alla men peggio di riparare al mal fatto. Raccolse per prima cosa tutti i pennuti della sua tribù, e si presentò con uno sterminato codazzo di uccelli Titiba all'avvoltoio Garuda, per sollecitare la sua protezione e ottenerne giustizia.
Garuda domandò prima di tutto di che si trattasse e qual fosse il motivo di quello straordinario assembramento. Prese la parola il Titiba, narrò per filo e per segno della patente ingiustizia perpetrata a suo danno dal mare, e supplicò il potente uccello di voler intervenire nella faccenda e costringere le ingorde onde marine a rendere il mal tolto.
Mosso a pietà, l'uccello Garuda si recò immantinente sulla spiaggia, e con voce tonante comandò al mare di restituire senza indugi i piccini rubati, minacciandolo, in caso di rifiuto, di fargli sentire quanto pesasse la sua collera.
Ma il Mare fece il sordo e si rise delle minacce spavalde. Non se ne stette Garuda; e dotato com'era di un magico potere, provocò con un soffio le più orribili tempeste, sconvolse il Mare fino agli abissi e giurò di non lasciarlo tranquillo che prima non si fosse piegato agli ordini ricevuti.
Si umiliò il Mare davanti a quella furia scatenata, domandò mille volte perdono e rese finalmente i poveri uccellini, la cui sparizione avea messo il mondo a rumore.
| |
Titiba Titiba Titiba Garuda Titiba Garuda Mare Garuda Mare Mare
|