Il disgraziato ministro, che non si dava pace nel vedere che il suo padrone, non che essergli grato dei servigi resigli, avesse prestato orecchio alle insinuazioni degli invidiosi e l'avesse tanto maltrattato senza voler nemmeno sentire una parola di giustificazione, deliberò di dare un addio al mondo, di abbracciare lo stato di eremita e di purificarsi dei passati trascorsi, andando a tuffarsi nelle acque sacre del Gange.
Senza por tempo in mezzo, intraprese il lungo pellegrinaggio. Un giorno, mentre traversava un orribile deserto, si trovò a passare al margine d'una cisterna e vide in questa una Serpe, una Tigre, un'Aquila e un Orefice, che per caso vi erano caduti.
Non appena adocchiato il Bramino viaggiatore, i quattro caduti si diedero a implorar soccorso. E quando ebbero saputo ch'egli andava in pellegrinaggio verso il Gange:
- Poichè, - gli dissero, - tu compi opera così meritoria, una buona azione di più non potrebbe che aumentarne il valore. Tirandoci dal fondo di questa cisterna, tu ci renderai la vita e ti guadagnerai tutta la nostra riconoscenza.
Si scusò a primo tratto il pellegrino, allegando non esserci alcun merito a render servizio a quattro creature della loro specie, l'una più perversa dell'altra.
Ma i prigionieri, non che smettere, gridarono e supplicarono più forte; e finalmente il Bramino, commosso dall'umile contegno di quei disgraziati e dalle sofferenze cui erano condannati, discese in fondo alla cisterna, e, cominciando dagli animali, li tirò fuori uno dopo l'altro.
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