Vedere tutte quelle ricchezze, bramarle, volerle per sè, fu per l'Orefice un punto solo. In un baleno, si scaglia sul Bramino, lo atterra, lo lega, e dopo averlo spogliato di quanto possedeva, lo trascina davanti al governatore della città e glielo presenta come il capo d'una banda di ladri, da lui arrestato. A riprova dell'accusa, tirò anche fuori alcuni dei gioielli tolti al Bramino e li consegnò al governatore, tenendo per sè beninteso, e nascondendo i più rari e costosi.
Il governatore, senza andar per le lunghe, ordinò che il preteso capo masnadiero fosse fustigato di santa ragione e messo in catene.
Ecco dunque il disgraziato Bramino indegnamente tradito dall'Orefice, in fondo d'un carcere scuro, carico di ferri. Allora fu che gli sovvennero le parole dettegli dagli animali sul conto di quell'uomo perverso. Figurarsi il suo pentimento per non aver dato retta ai consigli della prudenza, per non aver lasciato perire quel mostro. Si sforzò nondimeno di rassegnarsi alla disgrazia, persuaso tale esser la sorte cui il cielo lo avea condannato. Per consolarsi alla meglio, andava ripetendo fra sè un'antica massima
“Gli elefanti indipendenti e i liberi uccelli si vedono spesso ridotti in schiavitù; il sole e la luna patiscono a momenti che la limpida loro luce sia oscurata da spessi nuvoloni; gli uomini onesti si trovano sovente esposti al disprezzo e alle ignominie; così è che nessun essere al mondo può sfuggire al proprio destino„.
Vedendo però che di giorno in giorno i suoi mali crescevano senza che vi fosse mezzo di alleviarli, si ricordò della Serpe salvata dalla cisterna e ne invocò il soccorso.
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