Soggiunsero anzi di aver ricevuto formale incarico di avvertirlo, e che però preparasse pel giorno appresso un pasto degno di Sua Maestà.
Consentì volenteroso il Bramino ai pretesi desideri della Tigre, e subito si diè attorno per fare incetta di erbe, radici, legumi. Manipolò con questa roba varie pietanze, e le condì a larga mano, secondo il proprio gusto, mescolandovi del pepe, delle mostarde, dell'assa fetida e altre spezie pizzicanti, perchè meglio solleticassero il palato. Dopo preparata ogni cosa, assaggiò questo e quel manicaretto e trovò che il banchetto sarebbe stato eccellente. Contento come una pasqua per la bella figura che avrebbe fatto, si presentò alla Tigre e le offrì rispettosamente il pranzo con tanta cura apprestato.
Ma, non appena sentito l'odore forte del pepe e delle altre spezie, la Tigre fu costretta a turarsi il naso: quell'odore, ben diverso dall'odor dei cadaveri, suo pasto consueto, le sembrò insopportabile. Non c'era più dubbio; le Volpi avean ragione; il malvagio Bramino meditava un delitto.
Si contenne nondimeno la Tigre, e ordinò al Bramino di posare a terra le varie pietanze portate. Ingiunse poi alle Volpi di assaggiarne qualcuna. Queste, leccandole a mala pena con la punta della lingua, manifestarono il loro disgusto, strabuzzando gli occhi e facendo boccacce. Per meglio accertarsi della cosa, la Tigre volle assaggiar da sè e dette qua e là una rapida leccata. Il sapore della pietanza era veramente detestabile. Allora, non dubitando più oltre che si trattasse di veleno, ruppe il freno all'ira lungamente repressa, si scagliò in due balzi sul Bramino, e lo sbranò in meno che si dica.
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