Non tardó il re dei Corvi ad essere informato di quanto andava armeggiando il suo vicino, e capì immantinente tutti i pericoli che lo minacciavano se il Gufo arrivava a rivestirsi dell'autorità regale. Perplesso, agitato da mille timori, invita a consiglio i suoi tre ministri, li mette a parte dei progetti del Gufo, nemico implacabile della loro razza, e confida loro la sua costernazione in vista di siffatto avvenimento.
- Se il Gufo, - diceva, - nostro aperto nemico, riesce prima o dopo a cingere la corona di Re, la nostra razza è bello che spacciata. In brevissimo tempo, ci farà sterminar quanti siamo. In tale frangente, io vi ho fatto chiamare, o miei fedeli consiglieri, per saper da voi se siete buoni di escogitare un mezzo che possa scongiurare il pericolo comune.
Messi a giorno dei timori del loro sovrano e dei motivi che gli aveano generati, i tre ministri stettero sulle prime sospesi, e parvero non meno paurosi del padrone. Ruppe alla fine il silenzio il ministro Pratiptì e parlò in questa forma:
- I deboli cerchino sempre cansare ogni sorta di disputa coi forti, e se agli attacchi non riescono a sottrarsi, debbono o sottomettersi alla loro volontà o ceder loro il terreno. E come potremmo noi, deboli come siamo, concepire il pensiero di opporci ai progetti del Gufo, tanto di noi più potente?
Al parere di Pratiptì seguì quello di Santiptì, inspirato ai medesimi sensi di saggia prudenza.
- Quando, si prevede, - disse Santiptì, - di non poter menare a buon termine una qualunque impresa, non bisogna nemmeno tentarla.
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