Uditi e vagliati questi vari esempi, che gli facean conoscere il pro e il contra della decisione da prendere, il capo dei Gufi deliberò finalmente di accettare l'istanza di Stirangivì, nella persuasione che nulla aveva da temere da parte di un essere così meschino e derelitto.
Non sì tosto ammesso alla società dei Gufi l'astuto Corvo si adoperò con tutte le arti a guadagnarsi la fiducia del capo e dei suoi tre ministri. Docile, sommesso, parco di parole, resistente alla fatica, era sempre pronto ad eseguire qualunque servizio gli si richiedesse. Così, a furia di accorta cortigianeria e d'infinita umiltà, riuscì tanto bene a insinuarsi nella loro grazia, che i Gufi dal primo all'ultimo presero a considerarlo come un fratello e non come un estraneo. Per lui non c'erano porte chiuse; entrava dapertutto e a qualunque ora, andava e veniva quando più gli facea comodo; assisteva a tutti i discorsi, come persona di casa, anzi di famiglia.
Giovandosi di tanto favore, Stirangivì si diè a studiare con assidua diligenza la condizione, la vita, l'indole, i costumi, le forze e le astuzie dei Gufi che l'ospitavano. Esaminò con cura scrupolosa la postura e la disposizione del loro domicilio, situato fra i crepacci di una caverna, non che le diverse uscite, e ciò allo scopo di assicurarsi del miglior modo di attaccarli con certezza di buon successo. Trovò prima di tutto che la caverna in questione non aveva che un'apertura unica, per la quale entrare ed uscire. Si accertò in seguito di una cosa, che già sospettava, cioè che i Gufi erano affatto privi della facoltà visiva durante il giorno e non vedevano chiaro che nelle tenebre della notte.
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