Per buona ventura, il caporale ferito potè mitigare la stolta ira di quegli officiali, dicendo come fosse stato umanamente accolto. Dichiarati prigionieri di guerra, ci udimmo annunciar prossima la nostra partenza dal Broletto al Castello. Otto guardie rimasero alla porta della sala per custodirci.
Intanto s'avanzava la notte; durante la quale, avemmo la visita d'un officiale d'artiglieria. Notava i nostri nomi, la nostra condizione e il nostro domicilio. Quell'ufficiale usò verso di noi modi scortesi e minaccevoli. Indi a poco, altra visita ci veniva d'un commissario di polizia, il quale ripeteva le stesse interrogazioni. Ma ciò che maggiormente ci dava fastidio erano le crudeli villanie dei soldati di guardia, i quali non rispettavano i sani nè i moribondi. Uno dei nostri stava spirando, e nella stretta della morte mandava qualche gemito. Incredibile a dirsi! il rantolo d'un morente era colpa avanti a quei soldati ubbriachi che lo ferirono di bajonetta.
Come medico, fui richiesto quali fossero i feriti in condizione di essere trasportati all'ospitale. Accennai i meno gravi, cercando di porre in mezzo ad essi anche alcuni di quelli che, giunti in Castello, avrebbero corso pericolo di essere immediatamente moschettati. Intorno a un moribondo rimasi io col prete, non più liberi degli altri, ma solo per compiere il supremo dei doveri. Nè potrò obliar mai la scena dolorosa di cui dovetti essere attore. Coloro che venivano trasportati in Castello, fra i quali erano amici miei o conoscenti, credendomi lasciato libero, mi caricavano di messaggi per le famiglie loro.
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