Erano figli, padri, fratelli, che, ignari del destino che li aspettava in Castello, pregavano andassi a confortare i parenti, a ragguagliarli del loro caso. Era un testamento quasi che affidavano alla mia memoria; nè sapevano che io pure aveva a correre più tardi lo stesso periglio.
I prigionieri furono condotti in Castello in due stuoli. Primi ad avviarsi furono quelli che eransi côlti nelle sale del delegato e nei cortili: erano da centoventi; furono fatti discendere verso mezzanotte, ed ordinati in fila, a due a due, uscirono, preceduti e seguiti da cannoni e da una triplice siepe di soldati. Dipoi si facevano uscire allo stesso modo quelli côlti nell'infermeria: quaranta circa. Tennero nell'andare in Castello le vie S. Nazaro Pietrasanta, Rovello e Cusani. Durante il tragitto ebbero a patire offese d'ogni maniera; si mandavano innanzi a furia di percosse; si manacciava loro la fucilazione, la forca. I croati, storpiando la nostra favella, andavano gridando:
Subito piecara." I feriti che mal potevano camminare, quelli che pel selciato smosso o per l'ingombro delle tegole inciampavano, erano mandati innanzi a calciate di fucili, o a pugni sul volto. Ed era tanto quel pazzo furore, che quei soldati i quali, per la lontananza, non giungevano a percuotere i prigionieri, lanciavano loro addosso frammenti di tegole e manate di fango. I più lontani urtavano i compagni, perchè l'urto andasse a cadere sui prigionieri. Insomma la via dal Broletto al Castello fu un cumulo di strazii e vituperii; una nuova via di passione.
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