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      Uscimmo preceduti dai cannoni, in mezzo alle file dei soldati, ora dimessi e paurosi. Io mi trovava con un altro medico e il prete, al quale non valsero, per esimerlo da quello strazio, le convulsioni che lo avevano assalito. Io portava meco una bambina di tre anni, che la moglie del delegato, piangendo, mi poneva tra le braccia. Mi seguiva il cognato della signora, vecchio, mal fermo. Passavamo per S. Nazaro, il Rovello e Contrada Cusani.
      Regnava all'intorno un silenzio di morte, rotto soltanto da colpi di fucile e da continua pioggia di tegole e di sassi che i cittadini facevano cadere sopra i soldati, e quindi anche sovra di noi, perchè il bujo non permetteva loro di raffigurarci. La moglie del delegato cadde sfinita a terra. I soldati la fecero rialzare a calciate. Così eravamo tra due pericoli; i colpi dei nostri fratelli, che credevano ferire soltanto i nemici, e quelli dei Tedeschi, che vendicavano sugli inermi le offese degli armati.
      Tuttavia, a consolarci, vedemmo, durante il tragitto, starsi minacciose le barricate nella contrada dell'Orso e de' Cavenaghi. Anche il Castello alla sua volta veniva accerchiato dal popolo. Giunti nella piazza, vedemmo alla porta del Castello dodici e più cannoni, puntati a semicircolo, e li artiglieri colle micce accese.
      Così entrammo prigionieri, con l'unico conforto di aver veduto il popolo occupare di nuovo il suo palazzo; e il pallore e lo sgomento sulle fronti delli austriaci fuggitivi. Io ignorava quale sarebbe stata la mia sorte; ma portava intera fede in quella della mia città. La fuga degli austriaci attestava la vittoria del popolo.


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Storia delle cinque gloriose giornate di Milano nel 1848
Antonio Vismara
di Editore Pagnoni Milano
1873
pagine 141

   





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