Perciò appunto io ho rifiutato, e le une, e le altre sostituendo alle lastre di vetro, quelle di ceralacca, di zolfo, o d’altra resinosa materia; e alle sottili, e pieghevoli foglie surrogando altre armature metalliche sì, ma ferme, e di volume assai più amplo, e modellate su lodevole forma d’un capace conduttore. E con ciò quantunque mi sembri d’avervi data un’idea generale della somma di questo nuovo apparato, permettetemi ch’io vi descriva parte a parte quello di cui fò uso, che è semplicissimo, e la maniera di trarne i promessi vantaggi.
Ho dunque un piatto di stagno con l’orlo che rileva poco più d’una mezza linea, d’un piede di diametro, entro ho versato un mastice fuso composto di trementina, ragia, e cera, steso, e rassodato in una superficie piana, e lucida. Ne ho parecchi altri, e più grandi, e più piccoli di legno eziandio al cui fondo è incollata una laminetta di piombo, e in cui ho versato ove zolfo, ove ceralacca, ed ove altri mastici di varia composizione, ma l’indicato di sopra ch’io fo di tre parti di trementina due di ragia, ed una di cera bollite insieme per più ore, mescendovi in fine alquanto di minio, ad oggetto di avvivarne il colore, l’ho trovato il più comodo, e il migliore. Fa l’officio di armatura al di sopra un legno dorato della figura a un di presso d’uno scudo di dieci pollici di diametro, e alto due all’incirca, piano nella base che dee combaciare col mastice, alquanto convesso nei lati, o sia nel contorno. Dal centro della concavità sorge un manico di vetro, o meglio di ceralacca ben levigato, che ha gli spigoli (e ciò rileva assai) smussati, e ritondati.
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