Chiamerò dunque quest’armatura col nome di scudo. Stimo superfluo l’avvertire, che mi attengo ordinariamente ad uno scudo di legno dorato, perchè meno dispendioso, e più leggiero, e manesco che uno di metallo sodo. Peraltro avendo in seguito pensato a farne uno d’ottone tutto cavo interiormente a foggia di una scatola, che serve per un altro apparato minore portatile in tasca, trovo che m’offre in compenso non piccoli vantaggi, uno rilevante, che è quello d’essere più forbito, e perciò di dissipar meno d’elettricità: gli altri di sola appariscenza, e comodo, per atto d’esempio di render sonore le scintille anche meno vive; e di poter racchiudere in esso vari stromenti che vengono ad uso, come caraffe, manichi per isolare, palle, fili ec.
Eccovi, Sig., tutto l’apparato —
Mettiamolo ormai alle prove, e veggiamo come gli effetti corrispondono alle promesse. Carico mediocremente la lastra al modo ordinario coll’ajuto della macchina, e ne provoco la scarica giusta il costume toccando congiuntamente, o alternatamente lo scudo, e il piatto. Allora alzando lo scudo pel suo manico isolante, e riponendolo sul mastice, con toccarlo alternatamente, siccome richiede la teoria dell’elettricità vindice; e quando è alzato, e quando torna a posare ne ho scintille tali, e sì vive (quelle segnatamente dell’innalzamento, e più le succedenti alle prime due, o tre) che si spiccano, e dirigonsi alla nocca del mio dito ad un pollice e mezzo, e talora più di distanza, per nulla dire del venticello, e de’ fiocchi di luce che si manifestano sulle punte all’intervallo di più pollici, e degli attraimenti de’ corpicciuoli oltre allo spazio d’un piede.
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Sig
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