Questa debole disposizione mi torna talvolta a comodo. Qualora non so che farmi dell’elettricità d’un apparato, e cerco d’aver il mastice siccome fosse vergine, non ho che a stendere bene il mio fazzoletto sopra la faccia di quello; ed ecco spenta ogni virtù. All’incontro ognor che voglia conservata l’elettricità per giorni, o settimane, ho cura di non permettere che panno, o tela, od altro chicchessia irto di peli venga a scorrere od applicarsi sulla faccia del mastice; e mi tengo fino in guardia, che i miei manichetti in qualche parte non mi tradiscano. Ma con tutte queste attenzioni toglier non posso, che la polvere, e i peli sottilissimi, che d’ogni parte accorrono attratti dalla faccia elettrica, non vadano di mano in mano a portare notabile illanguidimento ai segni, in ragion che dura il giuoco di alzare ed abbassar lo scudo: sicchè è pur mestieri per ottenerli del tutto vivaci ricorrere di tempo in tempo al maneggio della caraffa ec. Tuttavia il decadimento non è tale, che non si mantengano a dispetto di tormentar di continuo l’apparato, e senza l’artificio di ravvivarli, per ore e giorni.
Non è per la sola durevolezza e vera indeficienza dei segni, che il nostro elettroforo ottiene sicuramente il primo vanto; ma per la grandezza eziandio di questi, e per la qualità. Per qualità intendo e la natura dell’elettricità vindice in genere, che non è propriamente la stessa dell’elettricità ordinaria, di quella cioè che muove immediatamente dallo stropicciare, e a questa sola cagione risponde; e intendo più in particolare le vicende dell’elettricità non già più di natura, ma di specie soltanto contraria, com’è d’eccesso, e di difetto, le quali in tante forme, e quasi con niun particolar maneggio si manifestano a un tempo, come si è veduto nella fig.
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