Tanto non vien egli indicato dai termini stessi, onde ho cognominata l’elettricità del mio apparato Vindice indeficiente? Ma poi anche in termini più formali mi esprimeva nella succennata lettera a Priestley: basta vederne il secondo paragrafo, ove, dopo avergli detto, che i fatti ch’io era per riferire appartengono all’Elettricità Vindice; e che egli da ciò immaginerebbe tosto, che si tratta d’una lastra isolante vestita, e snudata a vicenda della sua armatura, vengo a spiegare in qual maniera sono riuscito coll’ajuto d’un’armatura più conveniente, e col surrogare alle consuete lastre di cristallo altre di resinosa materia a rendere cotesta elettricità di una forza stupenda, e di una durevolezza ancor più maravigliosa.
Ma non solamente ho io fatta menzione dell’Elettricità Vindice nel modo che si è veduto: ho parlato eziandio della teoria di essa, e fatto caso delle sue leggi come di già stabilite. Ho detto in un luogo: siccome richiede la teoria dell’Elettricità Vindice: sul fine poi della lettera mi trattengo a parlare d’una contrarietà di sentimenti tra me, e il Padre Beccaria sul conto dell’elettricità dell’armatura in virtù della scarica, e per l’atto dello snudamento; e mi argomento di comprovare con nuovi fatti quella mia opinione avanzata già in una lettera latina al medesimo Padre Beccaria impressa fin dall’anno 1769, nella quale molto mi occupava a sviluppare cotesto principio dell’Elettricità Vindice.
Egli è dunque fuor d’ogni dubbio e contrasto, ch’io era ben lungi dal pretendere alla scoperta della sovente menzionata Elettricità Vindice, od a quelle sue leggi già conosciute, e stabilite; comechè io volgessi in mente già da gran tempo, ed or più di proposito mi studj di riformarne alcuna, anzi pure de’ precipui capi della teoria.
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