Nulla io ho a ridire riguardo a questa anteriorità di tempo; ciò che posso assicurare si è, che non son già io partito dalle sperienze di Wilke o d’Epino (delle quali non era nemmanco informato) per giugnere alla costruzione del mio apparato; bensì partii da quelle, che si faceano comunemente per la Vindice Elettricità servendosi di lamine di vetro: quì veramente io seguiva le sperienze di Beccaria ad oggetto di confutare, come ho sopra indicato, un fondamento della sua teoria; e così dietro ai miei principj fui condotto primieramente a dar una forma più convenevole all’armatura, onde ottenere valida, e intiera forza d’elettricità 38; e ben tosto a sostituire le resine al vetro acciò mi si mantenessero più durevoli i segni; richiamandomi allora come io mi era già assicurato della disposizione singolare, che hanno questi corpi di conservare tenacemente l’elettricità impressa; e rivolgendo pure in mente le idee, onde io mi era argomentato di spiegare questa tenacità medesima in una lettera al Dr. Priestley fino dal Maggio del 1772 39.
Del rimanente pare non si possano metter in confronto i piccoli saggi di Epino, e di Wilke sopra lo zolfo, e altre resine fuse, col mio Elettroforo per conto della grandezza degli effetti. E forse che gli si vorranno paragonare le sperienze di Beccaria colle sue lastre di cristallo vestite di sottili lamine metalliche? Ognuno, io credo, ha dovuto riconoscere la superiorità a questo riguardo del mio apparato: voi, Signore, sì, voi medesimo la riconoscete, e mi fate l’onor di dire, che gli amatori me ne deggiono saper grado.
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