XIII. Guardiamoci però nel voler ischivare la troppa coibenza di dare nel poco, accostandoci ai deferenti perfetti, o quasi perfetti. Non bisogna perder di vista, che la superficie del piatto dee opporre una discreta resistenza al trapasso del fluido elettrico, per rattenere una competente dose di elettricità nello scudo addossatole. (§. XI.) Nè basta che ciò faccia per un qualche piccolissimo tempo; d’uopo essendo non rare volte di tenervi confinata l’elettricità otto, dieci, e più minuti, quanti cioè ne impiega il conduttore atmosferico a raccoglier dall’aria ed infondere in esso scudo tal copia di elettricità, che possa rendersi sensibile, e cospicua. (§. III. lett. D e IV.)
Dal che facilmente s’intende quanta attenzione porre convenga, e nella scelta del corpo da surrogarsi allo strato di resina, e nella convenevole preparazione del medesimo: la quale preparazione consiste generalmente in certo grado di essiccamento, che lo riduca allo stato di semicoibente nè più, nè meno. Ad ogni modo fia meglio peccare per eccesso di coibenza, che per difetto; meglio prendere un piatto qualsivoglia incrostato di resina, che un disco di legno nudo non aridissimo, una lastra d’osso, od una di marmo comune non previamente riscaldate al sole o al fuoco: giacchè niun osso, e pochissimi tra i marmi ho trovato che valgano a tener confinata l’elettricità nella lamina metallica che lor si soprappone, a tenerla, dico, confinata sì, che non trapassi, oltre ad un minuto o due, quando abilitati non vengano da un convenevole riscaldamento.
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