Dicendo dunque che l’esperienze non lascian luogo a verun dubbio, intendo parlare di quelle fatte colle debite attenzioni.
Un’obiezione però si presenta, ed è questa: la boccia, la quale a misura che riceve scintille dallo scudo dell’elettroforo va caricandosi, non le riceve più tutte intere, massime sull’ultimo, restandone addietro in esso scudo tanto di ciascuna, quanto fa equilibrio alla forza della carica già indotta nella boccia. Ciò è tanto vero, che se si progredisca assai oltre nella carica, lo scudo, dopo data la scintilla alla boccia, avrà ritenuto abbastanza di elettricità per dare un’altra scintilla ad un altro corpo. A meraviglia: ma quale mai, io ripiglio, è la forza di carica, a cui sale la boccia di Leyden colle 20, 30, 40 scintille deboli d’un mediocre elettroforo, nelle prove di cui quì si tratta? Tale da far muovere l’elettrometro sensibilissimo 15, 18, 20 gradi al sommo. Or tanto e non più può essere il residuo di forza elettrica, che lo scudo ha ritenuto per se dando l’ultima scintilla alla boccia; residuo, che non giunge per avventura ad 1/20 dell’elettricità che detto scudo dispiega, allorchè alzato vibra la scintilla all’uncino della boccia; mercechè anche quando l’elettroforo è nello stato di debolezza in cui io l’adopero; pur tende il quadrante elettrometro a 40 gr., più, o meno (equivalenti a 400 del microelettrometro a paglie). Che se ha ritenuto 1/20, e non più, dando l’ultima scintilla alla boccia, debbe esso scudo aver ritenuto ancor meno a proporzione dando le antecedenti scintille, mentre era la boccia meno carica; onde vedesi, che assai meno ancora di 1/20 dobbiamo difalcare dalla totalità e pienezza delle scintille; e che potiamo considerarle, salvo un così picciolo errore, come passate tutte intiere nella boccia.
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Leyden
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