Osservo altronde che non ogni combustione produce elettricità: quella dei carboni, facendo in modo che proceda molto lentamente, mi riesce meglio: al contrario con una combustione più viva, non ottengo quasi nulla, e nulla affatto allorchè vi dà dentro la fiamma. Così è, la fiamma è un gran nimico di cotesta elettricità artificiale prodotta dall’evaporazione. Ma non ho bisogno di tutte queste considerazioni per distruggere il sospetto d’una tale elettricità generata: basta solo trasferirsi in un luogo in cui l’elettricità atmosferica non si faccia punto sentire, p. e. in fondo di un’angusta corte, in istrada, e per maggior sicurezza in una sala grande quanto si voglia: in tutti questi siti avete bello sollevare l’elettroscopio munito del zolfanello ardente, non vi compare il minimo segno d’elettricità. Gli è dunque la vera, e propria elettricità atmosferica, e in niun modo un’elettricità da noi prodotta, quella di cui l’elettroscopio ci dà dei segni mediante il zolfanello acceso, allorchè s’inalza nell’aria aperta.
L’avvantaggio d’aumentare considerabilmente i segni dell’elettricità atmosferica coll’ajuto d’una picciol fiamma, allorchè questi segni fossero già sensibili all’elettrometro armato della semplice verga, è un nulla in paragone del vantaggio di rendere percettibile quell’elettricità, che senza l’aggiunta di tal fiamma insensibile rimarrebbe e inosservata. Nel primo caso l’esperienza ha il bene d’essere più bella, e più spiegata, ma non altro; nel secondo ella è veramente istruttiva.
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