Confesso che in sulle prime ebbi io pure questo dubbio, il quale in me prese viemaggior forza, allorchè un dotto Fisico mio amico, a cui comunicate avea le mie prime sperienze, mi fece un tale obbietto; ma un poco più di riflessione, e il seguito delle mie osservazioni lo dissiparono, e io fui rassicurato. Non tardai guari a comprendere che poco o nulla si ha a temere da qualsivoglia incostanza della fiamma, tostochè grande o piccola ch’ella sia, languida o vivace, giunge a succhiare l’elettricità dell’aria, e a tramandarla al conduttore presso a poco con eguale facilità, a segno almeno di far divergere i pendolini dell’elettrometro d’un’eguale quantità, vuò dire dello stesso numero di gradi, come ho già fatto osservare nella precedente lettera, colla sola differenza di un pò più presto o un pò più tardi; di che avrò occasione di parlare. Ora se la maggiore o minore grandezza e vivacità della fiamma non porta una differenza considerabile nel successo, che è sempre compiuto; chi non vede, che le altre modificazioni di essa fiamma non vi avranno maggiore influenza; che quindi poco o nulla importerà ch’ella sia verticale o inclinata, più o meno fumosa ec.? Vuolsi una fiamma, e tanto basta. Infatti per tutto il tempo che brucia di zolfanello, se voi distruggete reiteratamente con due toccamenti la divergenza qualunque sia dei pendolini dell’elettrometro, questa rinasce tosto che cessate dal toccare, e in breve giunge al grado di prima: vi giunge, dico, così bene negli ultimi istanti, in cui la fiamma langue moribonda, come dianzi allorchè ardeva il meglio del mondo.
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Fisico
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