Siamo dunque sicuri con questo che non vi può essere mai sbaglio di sorta; che l’elettricità, di cui ci dà segni il nostro apparato, è proprio quella che regna nell’aria lambente la fiamma; ch’essa è tale, e tanta, com’egli ce l’addimostra. Ma di questo indicarci appuntino la forza dell’elettricità onde è animato lo strato d’aria, a cui giunge l’estremità del conduttore portante la fiamma, mi riservo a dar le prove compiute in un’altra lettera, in cui spiegherò la ragione e il modo onde facilmente e prontamente s’infonde e si comparte alla fiamma l’elettricità dell’aria, quando pure è così debole, che a nessun altro conduttore, quanto si voglia acuminato, può infondersi, se non a grande stento, lentissimamente e in pochissima quantità.
Porrò fine intanto alla presente con mettervi sott’occhio, o Signore, siccome un saggio delle osservazioni da me fatte pel corso di più mesi, la forza de’ segni, che comunemente ottengo col mio conduttore a lanterna (consistente in una canna da pescatore lunga 12 piedi portata da una specie di candelabro alto 5 in 6, che mando fuori da una finestra del secondo piano, la quale guarda un giardino) i segni, dico, che ottengo d’ordinario, secondo le diverse stagioni, e le ore del giorno, da quella elettricità blanda che regna a ciel sereno, a cielo coperto, e in tempo di nebbia più o men folta; lasciando gli accidenti di pioggie, di nevi e di temporali, in cui, specialmente negli ultimi, varia troppo l’elettricità atmosferica, per poterne indicare neppur all’ingrosso il grado ordinario di forza.
| |
|